Andrej Tarkovskij. In ascolto della visione


Forse è meglio ascoltare il cuore piuttosto che le cose suggerite dalla mente... - Frase tratta da un dialogo nel film "Andrej Rublev".








Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1986 muore in una clinica di Parigi, all'età di 54 anni, il regista Andrej Tarkovskij; il suo funerale viene celebrato il 3 gennaio nella cattedrale ortodossa di Aleksandr Nevskij. A venticinque anni dalla morte, la figura di questo regista continua ad essere indicata dai giovani che si avvicinano alla cinematografia come un punto di riferimento. In un mondo, l'industria cinematografica, in cui un regista vale soltanto nella misura in cui i suoi films riescono a fare cassa, Tarkovskij ricorda che l'arte è tutt'altro. Non solo lontana dalle logiche di mercato, o dalle emozioni "usa e getta", semplicemente, "tutt'altro". 

«La mia infanzia la ricordo molto bene perché è stato il periodo più importante della mia vita. Quello che ha fissato le impressioni e quello che ha poi preso corpo successivamente nel periodo adulto ed è quel momento nella vita dell’uomo che ne determina tutto il suo futuro, specialmente se è un futuro legato all’attività creativa, all’arte, ai problemi interiori, psicologici. Già Anna Achmatova, la grande poetessa russa, parlava dell’importanza dell’infanzia, quell’infanzia che la sostenne per tutta la vita nella sua opera. In una parola, l’uomo con l’infanzia nutre tutta l’attività creativa del periodo adulto. I miei genitori si separarono nel 1935 o ’36. Vivevo con mia madre, la nonna e mia sorella; in effetti sono cresciuto in una famiglia senza uomini e sono stato allevato da mia madre. Forse questo ha avuto una grande influenza sulla formazione del mio carattere.
La casa della mia infanzia per me è una casetta in un bosco a novanta/cento chilometri da Mosca, dove abbiamo vissuto cinque anni prima della guerra. Ci fu un episodio: un giorno mio padre venne da noi di notte e voleva che mia madre mi lasciasse andare a vivere con lui. Mi ricordo che mi svegliai, sentii quella conversazione, mia madre piangeva e anch’io piangevo ma piano perché non mi sentisse. Avevo già deciso che se anche fosse stata mia madre a chiedermelo, io non sarei mai andato a vivere con lui anche se per tutta la vita ho sentito la mancanza di un padre.
La guerra è stata per noi molto dura. Mio padre era andato al fronte e ci mancava molto. Si continuava ad aspettare lettere che arrivavano solo raramente. Comunque tornò senza una gamba, dopo un’operazione molto difficile in un ospedale militare al fronte. Tornò col grado di capitano e con uno dei riconoscimenti più alti dell’esercito: l’ordine della stella rossa. Due soli pensieri occupavano la mia mente infantile: che la guerra finisse e che mio padre tornasse da noi. Tutta la mia infanzia è legata a mia madre e si capisce, vivevo con lei, mi educava e si prendeva cura di noi. Ebbe una vita molto difficile: aveva terminato quello che adesso si chiama Istituto di letteratura e lì conobbe mio padre, ma quando ci lasciò ella non poté più occuparsi di letteratura e con due figli sulle spalle non riuscì a dare gli esami per avere in mano qualche diploma e andò a lavorare in una tipografia di Mosca. E tutto quello che ho avuto nella vita e le cose più belle che ho, le devo a mia madre, ai sacrifici per farmi diventare quello che sono adesso. Ci fu un momento veramente difficile nella mia vita: ero finito in una vecchia compagnia ed ero molto giovane, avevo circa vent’anni e mia madre mi salvò in un modo molto particolare mandandomi a lavorare con un gruppo di geologi in Siberia dove rimasi un anno intero. Lavorai laggiù come raccoglitore, un semplice operaio. A piedi girai le distese di neve nella taiga. La Siberia, ancora oggi, è rimasta uno dei miei ricordi più belli».

Queste parole di Andreij Tarkoskij sono tratte da un’ intervista-documentario (dal titolo “Un poeta nel cinema”-1984 ), realizzata da Donatella Baglivo, descrivono le attese, le speranze, le gioie della sua vita giovanile. Il genio di Tarkovskij risiede nella sua capacità di coniugare un vibrante lirismo poetico ed una vitale energia epica. Nel film "Andrej Rublev" (girato nel 1966), Tarkovskij legge la storia quattrocentesca della Russia attraverso la vicenda biografica del mistico e pittore Rublev. Questo film riceverà il premio della critica internazionale a Cannes nel 1969. In patria il film sarà proiettato nel 1971, ma non incontrerà alcuna menzione giornalistica, e men che mai alcuna recensione. Nel 1972 è la volta di "Solaris". Nel 1974 gira "Lo specchio", film che solleverà grandi incomprensioni nella patria del regista tanto che ne verrà proibita la partecipazione a qualsiasi festival. Ma se le sale cinematografiche sono precluse al genio dell'artista non così si può dire per i palchi teatrali, infatti, nel 1977 Tarkovskij metterà in scena l' "Amleto" di Shakespeare. L'anno seguente sarà concesso al regista di iniziare i lavori di "Stalker", che uscirà nel 1979. Nello stesso anno la sua nazione gli concede il permesso di andare in Italia per filmare con Tonino Guerra il documentario "Tempo di viaggio". In collaborazione con Guerra avvia il progetto di "Nostalghia", film interamente girato nelle pianure senesi, che vedrà le sale nel 1983. In questa pellicola assistiamo all'incontro mutuamente arricchente tra cultura europea e russa. La forza artistica di Tarkovskij è presente dietro ogni fotogramma: è assorto nella contemplazione della natura. In Nostalghia l'eroe ha la voce di Domenico, folle visionario, che grida dalla statua di Marco Aurelio, in Piazza Campidoglio, il dolore per la perdità della spiritualità. "Il male vero del nostro tempo è che non ci sono più i grandi maestri. La strada del nostro cuore è coperta d'ombra. Bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili....". Nello stesso anno i contatti con il maestro Claudio Abbado lo impegneranno nell'allestimento londinese di "Boris Godunov" di Musorgskij.

Nel 1986 esce l'ultimo film di Tarkovskij, "Sacrificio"; nonostante i plausi della critica e del pubblico, il film non otterrà la Palma d'Oro. Andreij Tarkoskij è uno dei pochi poeti che è riuscito a fondere la sua poetica con l’espressione cinematografica. Vita, produzione artistica, sensibilità poetica sono per Andreij un'unica realtà inestricabile: 

«Non sono mai riuscito a separare la mia vita dai film che facevo. I film sono sempre stati per me una parte della mia esistenza e per poter girare un film ho sempre dovuto operare delle scelte fondamentali. Molti riescono a separare la propria vita dai film che realizzano. Conosco molti che vivono in un modo e nei film dicono tutt’altra cosa, esprimono tutt’altre idee. Riescono a scindere la propria coscienza dai film che fanno. Io non ci sono mai riuscito: per me il cinema non è una professione, è la mia vita ed ogni film lo considero un azione della mia vita». (Cf. Intervista ad Andreij Tarkoskij realizzata da Donatella Baglio nel documentario "Un poeta nel cinema").

L'opera di Tarkoskij non costituisce un monumento alla memoria, è qualcosa di vivo e vero. Il cristiano sa bene che la valenza del suo lavoro, delle sue azioni sulla terra sarà rivelata pienamente soltanto nella parusia.





Antonino Pileri Bruno


Post più popolari