Giustin Popovic. La gioia cattolica dell'uomo redento


Nella coscienza umana si incontrano il mistero del mondo e il mistero dell'uomo. Giustin Popovic



















Popovic, nasce in un piccolo borgo di Branje nella Serbia meridionale, è un giorno di festa per il villaggio l'Annunciazione di nostro Signore (25 marzo 1894), ed è questo clima di gioia orante che accoglie Popovic tra le braccia di sua madre, una gioia orante che lo accompagnerà per tutta la vita.

Gli studi lo porteranno presto ad allontanarsi dalla casa paterna, dovrà spostarsi a Belgrado fino al 1914 anno in cui interromperà gli studi per prestare il suo aiuto nell'esercito come aiuto infermiere. Le infelici sorti belliche della Serbia ed il travaglio interiore del giovane soldato, lo portano a Skadar dove, con il nome di Giustino, riceverà la tonsura monastica. 

Il monaco Giustino spicca per la preparazione teologica cementata dalla forte e salda spiritualità, per la capacità di sintesi e visione, per la sua disponibilità sincera al dialogo aperto e franco; virtù tutte, che orienteranno i superiori a proporlo dal 1935 come professore di teologia dogmatica presso la Facoltà teologica di Belgrado.

La serenità della vita monastica ed accademica sarà spezzata da lì a poco dall'ascesa al potere politico di Tito, persona intrisa di un tale carisma che lo rende capace di affascinare le folle, ma che sarà oggetto di diffidenza perfino da quelle stesse potenze di cui egli aveva cercato di incarnare gli ideali. Popovic verrà recluso in prigione come "nemico del popolo".
L'amore per la ricerca teologica non lo abbandonerà neanche nei momenti più bui della sua vita, ma potrà terminare il terzo tomo della sua dogmatica solo poco tempo prima della morte; anche questa segnata ancora una volta, provvidenzialmente, dalla festa dell'Annunciazione (25 Marzo 1979); stesso giorno della sua nascita.

Cosa ha seminato Popovic negli 85 anni della sua vita, pellegrino insieme alla sua chiesa Serba in un continente europeo attraversato da guerre nefaste e povero di una autocoscienza che tutt'ora stenta ad affermarsi? Basta rileggre un suo articolo "Izmedju dve filosofije" -Tra due filosofie-, pubblicato nel 1936 nella rivista "Hriscansko Delo" (Skoplje), per dirimere questi interrogativi. (Userò la traduzione dal greco moderno di Antonio Ranzolin e Ester Reghellin, publicata in L'Uomo e il Dio Uomo. Introduzione al cristianesimo, Edizioni Asterios: Trieste, 2011).

È il dramma del razionalismo materialistico che detta l'energia e l'acume di questo articolo, che per il gusto e il garbo del tratto, mai però primi della ferma "vis veritatis" che ogni profeta testimonia nella sua vita, ricorda gli scritti apologetici dei Padri. Il dramma del razionalismo assunto come autoreferente di fronte alla realtà ed alle relazioni in cui esse si intessono, ha un unico "farmaco" di guarigione: Cristo, il Salvatore del mondo, vero Dio e vero uomo.

Aggiogato al giogo del tempo e dello spazio, l'uomo trascina l'universo. Dove? Verso quali precipizi lo condurrà? Verso quali gelide altezze al di là del tempo e dello spazio? Tutti gli uomini, tutte le razze, tutti i popoli, tutte le stirpi sono ugualmente aggiogati a questo duplice giogo del tempo e dello spazio. (...) Il genere umano trascina il tempo senza conoscerne nè la natura nè il senso nè lo scopo.  (L'Uomo e il Dio Uomo. Introduzione al cristianesimo, 20).

Se ogni questione di senso e verità vede nell'uomo il ricapitolatore, ogni uomo scorge in Dio e nella sua opera di Provvidenza il Ricapitolatore dell'uomo e della sua vocazione nel cosmo.

Questo è l'uomo, questo è anche il mondo quando non li percepisco in Cristo, quando non li vedo tramite Cristo. Ma con lui tutto cambia: sia io sia il mondo attorno a me. In virtù dell'incontro con lui, una corrente del tutto nuova, qualcosa di mai provato fino ad allora, qualcosa di mai immaginato nè conosciuto, attraversa l'uomo. In virtù dell'amore per lui, la percezione di me stesso e la percezione del mondo si trasformano in un lieto messaggio (in un ev-angelo) che non ha termine nè nel tempo nè nell'eternità. (L'Uomo e il Dio Uomo. Introduzione al cristianesimo, 21).

È proprio nella risurrezione di Cristo, che la coscienza "piccola lucciola nella notte oscura" riconosce che la morte ed il suo impero sono vinti per sempre. Popovic è consapevole che la malattia e la morte sono le armi con cui il mistero di iniquità sfida quotidianamente l'uomo. Egli sa bene che questi pungiglioni di nequizia non feriscono soltanto il corpo, ma anche l'anima, l'intelligenza, la stessa coscienza. L'uomo che Popovic delinea nei suoi scritti è un uomo chiamato da Dio all'uni-totalità, proprio per questo è un mistero di coesione e unità.

Con la sua gloriosa risurrezione, il Signore ha introdotto il genere umano nella corrente del fiume dell'immortalità, che sfocia nella vita eterna. A partire da quel momento i pensieri, le percezioni e le opere degli uomini di Cristo diventano, tutti, piccoli ruscelli di immortalità. Passando tra le rocce del tempo e dello spazio, questi ruscelli gorgogliano e corrono lieti verso il mare senza rive della mirabile eternità e divinoumanità di Cristo. (L'Uomo e il Dio Uomo. Introduzione al cristianesimo, 24).

Il mistero di redenzione di Cristo fa sì che la vita non sia più scalzata dalla morte, al contrario è la morte ad essere sconfitta dalla Vita. In Cristo il tempo e l'eternità vengono pacificati nella gloria chenotica della croce, mistero di vittoria nell'umiltà di Gesù Nazareno, Re dei Giudei. In Lui in "titulus crucis" diventa in "titulus gloriae majestatis".

Il Dio Logos incarnato ha dimostrato con certezza che il tempo è una preparazione all'eternità. Chi entra nel tempo entra, simultaneamente, nell'anticamera dell'eternità. Tale è la legge della nostra esistenza. (L'Uomo e il Dio Uomo. Introduzione al cristianesimo, 25).
 
Grande è la saggezza teologica di Popovic, quasi impadroneggiabile! Quello che continua a riempirci di gioia è che ancora molto, ha da fare scoprire di sè, la gloriosa Chiesa che è pellegrina nella terra della Serbia.




Antonino Pileri Bruno

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