Alexander Schmemann. L'uomo sacerdote del creato di Dio

Alexander Schmemann è nato in Estonia da una famiglia di emigrati russi, la sua famiglia si trasferisce in Francia ed a Parigi riceve la sua formazione teologica. Dal 1946 al 1951 insegnerà al Saint-Serge "storia ecclesiastica". Nel 1951, fu invitato al Sant Vladimir dal Padre George Floronskij, qui il suo lavoro si concentrerà sulla teologia liturgica. Dal 1962 al 1965 sarà osservatore ortodosso al Concilio Vaticano II.
Nella riflessione teologica di Schmemann, il creato è dono di Dio all'uomo, tutto il cosmo è capace di far conoscere Dio all'uomo. Il creato crea una comunione tra Dio e l'uomo, ed è prorpio questa comunione a fare entare l'uomo e Dio in una relazione di conoscenza. L'uomo è affamato di Dio, dietro la fame della nostra vita c'è Dio, dietro ogni desiderio c'è il desiderio di Dio. Tutto il creato vincola la sua sussistenza alla sua capacità di nutrirsi, di mantenersi, attraverso il cibo, in vita. La posizione unica dell'uomo è che solo lui è capace di benedire Dio per il cibo che riceve. Solo l'uomo può rispondere alla benedizione di Dio con la sua benedizione.
Tutto ciò che esiste è dono di Dio all'uomo, e tutto esiste per far conoscere Dio all'uomo, per fare della vita dell'uomo una comunione con Dio. È amore divino fatto cibo, fatto vita per l'uomo. Dio benedice ogni cosa da lui creata, e, nel linguaggio biblico, ciò significa che egli fa di tutta la creazione il segno e il mezzo della sua presenza e della sua sapienza, del suo amore e della sua rivelazione. "Oh, gustate e vedete come è buono il Signore!". L'uomo è un essere affamato. Ma è affamato di Dio. Dietro a tutta la fame della nostra vita c'è Dio. Ogni desiderio è, in ultima analisi, un desiderio di lui. Certo, l'uomo non è l'unico essere affamato. Tutto ciò che esiste vive perchè "mangia". L'intera creazione dipende dal cibo. Ma la posizione unica dell'uomo nell'universo è che egli solo deve benedire Dio per il cibo e per la vita che riceve da lui. Egli solo deve rispondere alla benedizione di Dio con la sua benedizione. (Alexander Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, Brescia, 1969, p. 11).
Non è un caso che la caduta nel racconto genesiaco sia incentrato nel cibo. L'uomo mangia l'unico frutto che non gli era offerto in dono. Mangiare quel frutto significava entrare in una relazione che escludeva da Dio, desiderare mangiare questo frutto significa amare il mondo in sè, come se il cosmo potesse prescindere da Dio. La naturale dipendenza dell'uomo dal mondo era destinata a trasformarsi continuamente in comunione con Dio, ma nel mondo caduto l'uomo non ha il potere sacerdotale di fare questo, anzi spesso il mondo gli appare come luogo maledetto che lo allontana dall'amore di Dio.
Non è quindi accidentale che la storia biblica della caduta sia nuovamente incentrata nel cibo. L'uomo mangiò il frutto proibito. Il frutto di quell'unico albero, qualsiasi altra cosa ciò possa significare, era diverso da ogni altro frutto nel Giardino: esso non fu offerto in dono all'uomo. Non dato, non benedetto da Dio, era un cibo la cui manducazione era condannata ad essere comunione soltanto col cibo stesso, e non con Dio. Esso è l'immagine del mondo amato per se stesso, e il mangiarlo è l'immagine della vita intesa come fine in sé. Amare non è facile, e l'umanità ha preferito non contraccambiare l'amore di Dio. L'uomo ha amato il mondo, ma come fine in sé, e non come trasparenza di Dio. E lo ha fatto in modo così coerente che ciò è diventato qualcosa che è "nell'aria". Sembra naturale per l'uomo sperimentare il mondo come qualcosa di opaco, e non attraversato dalla presenza di Dio. Sembra naturale non vivere una vita di rendimento di grazie per il dono di Dio che è il mondo. Sembra naturale non essere eucaristici. Il mondo è un mondo caduto perchè si è allontanato dalla consapevolezza che Dio è tutto in tutto. L'accumularsi di questa noncuranza verso Dio è il peccato originale che esercita la sua influenza nefasta sul mondo. E nemmeno la religione di questo mondo caduto può salvarlo o redimerlo, poichè esso ha accettato di limitar Dio a un'area detta "sacra" ("spirituale", "soprannaturale"), in contrapposto al mondo "profano". Ha accettato il secolarismo che tutto coinvolge e che tenta di sottrarre il mondo a Dio. La naturale dipendenza dell'uomo dal mondo era destinata a trasformarsi continuamente in comunione con Dio, nel quale è tutta la vita. L'uomo doveva essere il sacerdote di un'eucaristia, con cui offrire il mondo a Dio, e in questa offerta egli doveva ricevere il dono della vita. Ma nel mondo caduto l'uomo non ha il potere sacerdotale di fare questo. La sua dipendenza dal mondo diventa un circuito chiuso, e il suo amore è deviato dalla sua vera direzione. (Alexander Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, Brescia, 1969, p. 13).
Dopo la caduta l'uomo perde la capacità di fare eucaristia, egli cessò di essere il sacerdote del cosmo e divenne il suo schiavo. Ogni volta che egli mangia ricorda che egli viene dalla terra come il cibo che lo sostiene e nella terra tornerà.
Perchè "il salario del peccato è la morte". La vita che l'uomo scelse era solo l'apparenza della vita. Dio gli mostrò che lui stesso aveva deciso di mangiare il pane in un modo che semplicemente lo avrebbe fatto ritornare alla terra, da cui sia lui che il pane erano stati tratti: "Perchè tu sei polvere ed in polvere ritornerai". L'uomo perse la vita eucaristica, perse la vita stessa, il potere di trasformarla in Vita. Egli cessò di essere il sacerdote del mondo e divenne il suo schiavo. (Alexander Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, Brescia, 1969, p. 14).
L'uomo è presentato da Schmemann come sacerdote nel creato dell'amore di Dio, amore che gli è palesato nella natura e che egli offre al cosmo intero in continuo rendimento di grazie. La Chiesa, afferma Schmemann, è sacramento del Regno, non perchè possiede atti divinamente istituiti che si chiamano "sacramenti", ma perchè essa è la possibilità offerta all'uomo di vedere in questo mondo e attraverso questo mondo il "mondo avvenire", di vederlo e di "viverlo" nel Cristo.
Solo quando, nelle tenebre di questo mondo, noi vediamo che il Cristo ha già "riempito di sè tutte le cose", solo allora queste cose, quali che siano, ci si rivelano e ci si offrono come piene di significato e di bellezza. Un cristiano è colui che, dovunque guardi, scopre dappertutto il Cristo, e in lui si rallegra. E questa gioia trasforma tutti i suoi piani e i suoi programmi umani, tutte le sue decisioni ed i suoi movimenti, fa di tutta la sua missione il sacramento del ritorno del mondo a lui, che è la vita del mondo. (Alexander Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, Brescia, 1969, p. 124).
Antonino Pileri Bruno

