Il cuore centro della persona nell'opera di Tomas Spidlik



 




Il mio pensiero filosofico non ha forma scientifica, non è logico-razionale, ma intuitivamente vivente; si basa su di una esperienza spirituale. Nikolaij Berdjaev




Il centro della persona è il cuore, nel cuore si palesa come la persona abbia le proprie radici al di là del qui ed ora, abbia la consapevolezza che la verità non è sottomessa alla legge della logica, ma da essa riceve il carattere di inopinabilità. L’insistenza che i teologi slavi danno al cuore diventa una sorta di professione di fede ortodossa contro il razionalismo che tende a distinguere e separare asetticamente tutto. Questa impostazione ha ricadute di notevole importanza in prospettiva antropologica, giacché nella tradizione dell’oriente cristiano, come testimonia Špidlík, non è importante distinguere nell’uomo ciò che è umano da ciò che è divino, ma scorgere nella persona la dinamis operante nella divinizzazione.

Conoscere significa quindi entrare in relazione e questo significa che la conoscenza si dà sempre in una forma personale, vitale; ed il luogo di questa relazione è il cuore: luogo in cui trascendenza ed immanenza si toccano. Ma perché questa relazione sia autentica bisogna che il cuore sia purificato ed è nel rapporto praxis-théôria che avviene per l’uomo la purificazione dalla tensione autoreferenziale del possesso.

È nella praxis che il cuore purificato accede alla contemplazione. Il pénthos dona all’uomo la consapevolezza di appartenere al mondo e nello stesso tempo di trascenderlo in una conoscenza che è dischiusa dalla pura carità. Il pénthos opera nell’uomo con una potenza tale da affermare che nulla, neanche il peccato, sfugge alla Provvidenza, nulla è abbandonato alla forza caotica del peccato. La vita dell’uomo nuovo, redento da Cristo, è una vita monotropa; una vita cha ha ricevuto da Dio la forza di sconfiggere il peccato. L’esperienza monastica costituisce un caso paradigmatico di vita monotropa, giacché il monaco è chiamato, là dove vive, a vivificare la tradizione nella storia della sua vita; per questo è capace di vivere in un’unità che costituisce lo sviluppo integrale della persona.

Nella prospettiva teologico-spirituale špidlíkiana è nell’azione divina che opera come/nella Provvidenza che si offre alla temporalità la relazione Dio-Mondo. La creazione del cosmo non può essere letta secondo una categoria causale perché Dio ed il creato non si possono mettere sullo stesso piano, nello stesso tempo creatore e creatura entrano in una relazione che è inaugurata dal fiat di Dio. Fiat che non è dato una volta per sempre, ma che accompagna l’uomo ed il creato continuamente. La stessa storia della salvezza parla del compimento dei disegni di Dio nella storia; della libertà di Dio e dell’uomo che si donano nel tempo nella dimensione dell’esodo umano ed avvento divino.

Il giudizio della Provvidenza, espressione che Špidlík conia a partire dalla vicenda di Giuseppe venduto dai fratelli, permette all’uomo di leggere la storia personale e del suo popolo sub specie æternitatis, in un ermeneutica che libera la lettura storica da fatalismi legati al nesso di causalità per cui tutto è provocato da un effetto che può essere anche arbitrario. L’uomo trova la sua libertà e la sua vocazione vivendo con gli altri uomini; per questo Špidlík afferma che c’è una vocazione del singolo ed una vocazione delle nazioni.

L’uomo fa esperienza eminente di libertà nella dimensione artistica. Nell’esperienza personale l’arte mostra ciò di cui l’anima ha sete e nostalgia; il mondo esercita un’attrattiva di poiesi artistica perché amiamo la sua bellezza. Mentre le scienze analitiche vedono una cosa accanto all’altra, la visione estetica, è questa la lezione spidlikiana, vede una cosa nell’altra: le cose non sono distinte ma unite simbolicamente; in un nesso che non è mera rappresentazione, ma porta d’ingresso rispetto all’unità che realizzano.

L’attitudine a protendere lo sguardo oltre il velo del mondo empirico, verso il suo nucleo simbolico, impegna il pensiero russo su due versanti per un verso la tradizione patristica orientale, dall’altro il movimento simbolista. Il simbolo diviene in tale prospettiva la vera chiave ermeneutica della natura segreta delle cose, il piano ontologico della dialettica tra i diversi piani del reale, il luogo della reciproca compenetrazione gnoseologica. Il simbolo è la soglia in cui il mondo visibile ed il mondo invisibile si uniscono senza confusione e senza distinzione; ed è il limite di questa soglia che segna la separazione che permane.

È nella prospettiva simbolica che Špidlík inquadra il tema della sofiologia. La Sofia è simbolo paradigmatico, chiave di accesso all’intuizione della tuttunità. La Sofia è presente nel mondo ed al tempo stesso rimane trascendente al mondo, infatti mentre il mondo è in divenire, la Sofia è al di sopra di ogni processo per cui si possa intendere in fieri.

Dalla riflessione del nostro autore emerge come la Sofia divina sia la manifestazione kenotica della Trinità, in cui le tre Persone si attuano nelle relazioni loro proprie e nella kenosi creativa del cosmo. Nella kenosi divina la creazione accoglie in stato epicletico la conferma della propria reale identità e la dimensione fontale della propria trascendenza. La realtà del cosmo risiede nella potenza di Dio che la pone alla sua presenza, che sigilla nello sfraghis (sigillo) del suo Logos il carattere sofianico della sua creaturalità. 




Antonino Pileri Bruno

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